Parlare di Ondrej Havelka significa parlare della storia del Jazz in Cecoslovacchia. Ondrej dirige una Big Band, i “Melody Makers” che fa musica Swing ma non solo, piuttosto è più giusto dire che riassume tutta la tradizione perduta del Jazz degli anni tra le due guerre. Ma prima preferirei fare parlare la musica per introdurvi il personaggio:
che è ne più ne meno quello che doveva essere un spettacolo di una Big Band nell’Europa dell’est degli anni ’30, certo, un misto di America ma anche del teatro Yiddish (a cui sono tanto debitori gli Stati Uniti e Hollywood) ed un certo pathos slavo.
Havelka non lo si vede molto nell’ambiente del Lindy Hop, questo perchè la sua operazione è, appunto, più incentrata su tutta la musica principalmente degli anni ’30, forse più adatta al Fox Trot, al Quickstep o al Charleston e questo lo differenzia da gruppi anch’essi molto bravi, come la Hot Sugar Band appunto più votata al Lindy così come lo si balla oggi.
Questo ci porta alla tradizione Jazz di cui parlavo prima.
Praga, nel periodo tra le due guerre mondiali era, forse il posto più democratico del pianeta, ma anche il posto culturalmente più vivace in cui, ovviamente, non poteva mancare il Jazz ma anche, nella fattispecie, lo Swing.
Provo a fare un paio di nomi, Inka Zemánková, una cantante prettamente Swing che potete ascoltare qui:
che a me ricorda tantissimo la prima Ella Fitzgerald, quando cantava per Chick Webb. Logicamente per l’epoca per avere successo dovevi essere comprensibile, per cui cantavi in lingua ceca anche se Inka aveva iniziato cantando in inglese.
Il secondo autore che vi voglio proporre è molto interessante anche per la sua vita, nel senso che Emil Ludvik durante l’occupazione nazista di Praga dal 1938 a tutti gli anni della guerra, alternava al suo ruolo di capo di una Big Band nella Praga dell’occupazione a quello di membro della resistenza per poi essere uno dei firmatari della Charta 77, che vi consiglio di andare a vedere perchè anche qui c’entra la musica.
Ecco il pezzo che vi propongo, se guardate la data, 1941, era l’anno in cui a Praga imperversava un certo Reinhardt Heydrich che verrà ucciso un anno dopo proprio dai coraggiosi partigiani cechi:
avete visto? Nel titolo la parola Harlem, del rispetto che i musicisti dell’est Europa (anche sovietici) portassero per i musicisti americani di colore ne parlerò più avanti.
Voglio ancora aggiungere questo autore, Jaroslav Ježek, di certo più vicino a George Gershwin che non a Benny Goodman ma interessante sia per questo brano che univa Jazz alla musica delle avanguardie, sia per il titolo: Bugatti Step, cioè la Bugatti, la macchina inarrivabile dei ricchi e dei potenti del mondo e “step” cioè il “passo” inteso come passo di un ballo, magari il Charleston o l’One step, detto in inglese per enfatizzarne la modernità:
a me è piaciuto tantissimo.
Per terminare la carrellata (cercate, se vi piace, attraverso gli autori che vi ho proposto, i tanti altri artisti della scena Jazz della Cecoslovacchia degli anni 20-40 che è piano di brani/filmati), una clip, sembrerebbe, della fine degli anni ’30 con questo cantante ballerino anche piuttosto esplicitamente ambiguo (CORREZIONE: si tratta di una ballerina,che recita en travesti, ma l’ambiguità rimane) il che ci da il parametro del grado di apertura di quel paese:
comunque il Tip tap veniva ballato anche nelle commedie leggere tedesche degli ultimi anni della guerra.
Tornando ad Ondrej Havelka, lui non si fa proprio mancare nulla, e riallacciandosi al cinema cecoslovacco anteguerra ha realizzato, di certo con la collaborazione di, immagino, studenti delle scuole di cinema della sua città (cosa che sarebbe bello fare anche qua), alcune clip sulle sue musiche che prendono spunto dalle commedie musicali degli anni ’30, ne ho scelti due che reputo bellissimi:
l’idea degli ombrelli multipli è favolosa oltrechè il film sembra indistinguibile da uno originale, c’è tutto: Harry Langdon, Charlie Chaplin, James Stewart, Fred Astaire, Cantando sotto la pioggia, la commedia Yiddish e la ragazza è bellissima.
Il secondo:
questo, più dinamico e mooolto Lindy, ha anch’esso tutto: il tristissimo ufficio con i computer di un decennio prima, orribili, il grigiore e l’apoteosi di essere proiettati nel modo swing degli anni ’40, il gangster movie, le ragazze che ballano nello stile delle nere di Harlem, Gene Krupa e Ondrej che il Lindy lo sa ballare eccome ed il ritorno al grigiore ma tanto quando hai conosciuto il mondo dello Swing nulla sarà più come prima.
Non so se avete notato il pianista, con la faccia dipinta di nero, ebbene si tratta di una citazione di una modalità di spettacolo chiamata Blackface, nata negli Stati Uniti alla fine del ‘800 ed arrivata fino agli anni ’40 e che aveva, effettivamente, una connotazione dispregiativa nei confronti della popolazione di colore e che consisteva in attori bianchi che si dipingevano la faccia di nero per caricaturare (ma non sempre, come nel caso di Al Jolson, qui nel primo film sonoro della Storia: Il cantante di Jazz) negativamente o in modo ridicolo gli afroamericani. Diverso era il caso del blackface praticato nell’Europa dell’est (Unione Sovietica compresa) dove negli anni ’20 e ’30 molti musicisti americani di colore effettuarono delle tournèè durante le quali riscuoterono grandissimo successo, tanto che i musicisti Jazz locali, per potergli assomigliare cominciarono anche loro a dipingersi il viso, ma era un atto di rispetto e non ironia, un immedesimazione, un po’ come noi Lindy hoppers che ci vestiamo anni ’40 per essere più vicini allo spirito dell’epoca e a quella gente che il Lindy lo avevano ballato prima di noi.
Invece, qualche anno fa, una famosa ballerina di Charleston e Jazz, Ksenia Parkhatskaya presentò uno spettacolo di danza in blackface, evidente omaggio, credo, a Josephine Baker e venne pesantemente criticata non solo da neri americani (si sa che americani e cultura viaggiano su due treni che vanno in direzione opposta), comprensibile fino ad un certo punto, ma anche esponenti del mondo Lindy europeo, per cui fece ammenda pubblica e finì li. Ksenia è russa, e di sicuro conosce la modalità con la quale il suo paese faceva rappresentazioni blackface, io al suo posto li avrei mandati affan…ma c’è da dire che lei di queste cose ci vive.
Bene, sperando di avere suscitato qualche curiosità, me ne vado a dormire che è tardi.
Good night, and good luck
E.M.
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