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Musica Swing e repressione

Ci sono stati momenti nella Storia durante i quali persone che, non riconoscendosi in un sistema estetico e sociale, in quel dato momento percepito come fastidiosamente conformista oppure apertamente repressivo, usarono musica ed apparenza non tanto per lottare, magari combattendo, ma per metterne in evidenza proprio il conformismo e l’uniformità stessi.

Se ne possono citare parecchie: i Marveilleux nella Francia della Rivoluzione appena dopo l’esecuzione di Robespierre oppure i Macaronis nella Londra sempre del ‘700 fino ad arrivare ai Teddy Boys, neoedoardiani nella tristissima e classista Inghilterra degli anni ’50. Ed altri.

Ma noi ci occuperemo solo di quei movimenti che fecero della musica Swing (ed in taluni casi anche del Lindy Hop) e dell’abbigliamento da esso derivato la loro cifra.

Una caratteristica in comune è la situazione sociale all’interno della quale maturano queste sottoculture (o controculture), in genere ciò avviene in presenza di una trasformazione diffusa costituita da uniformità di ideali, forte repressione degli istinti più liberatori (la danza, la sessualità istintiva, l’ozio contemplativo) e costrizione coatta all’interno di uno stile di vita cosiddetto “puro” o “giusto”. Un appiattimento noioso.

E’ con la semplice presenza, senza bisogno di azioni eclatanti, che i soggetti devianti cominciano ad allontanarsi da quelle che vengono sempre di più percepite come costrizioni inaccettabili. E lo fanno con il loro aspetto, la loro apparenza, si può dire che sia una resistenza estetica piuttosto che attiva.

Di questi movimenti ne vedremo 4, tutti tranne uno dell’epoca, più o meno, del Lindy Hop:

  • Les Zazous (Francia inizio anni ’40)

Parigi, 1940, gli eserciti di Hitler sono entrati in Francia, a giugno sono già a Parigi che viene occupata. Il nord della Francia è occupato dai tedeschi mentre il resto è in mano della nascente Repubblica di Vichy formalmente neutrale, in realtà in mano a fazioni fasciste ed antisemite vicine agli occupanti nazisti.

Parigi diventa la retrovia elegante dell’esercito nazista, un bel posto dove passare una licenza, magari dal fronte russo.

Però si comincia a sentire la mano pesante della dittatura, requisizioni, arresto e deportazione di cittadini francesi di origine ebraica.

E’ nelle zone centrali di Parigi (non ancora gentrificata) che cominciano a notarsi dei strani personaggi, persone vestite in modo particolare con vistose giacche a quadri lunghe ed attillate, capelli acconciati in colossali ciuffi a banana sotto chili di lacca, stretti pantaloni portati alti, in modo da fare vedere le calze e scarpe di cuoio ortopediche. Un insulto al patriottico razionamento.

Le ragazze, trucco pesante e giacche da uomo, squadrate, fuori misura e scarpe da bowling bicolori.

Per tutti: occhiali da sole…di sera, ovviamente.

Cosa fanno queste persone per fare così tanto imbestialire i benpensanti del governo di Vichy, sottolineo nazisti ed antisemiti? Niente, ci sono e basta. Ci fanno vedere che esiste qualcos’altro, che al pensiero unico filosalutista, puro, troppo biondo e troppo con gli occhi azzurri, frugale, c’è un modo differente di vedere le cose.

E lo fanno con il loro aspetto, con la musica Swing che ascoltano. Django Reinhard, Cab Calloway, Benny Goodman. Uno zingaro, un negro ed un ebreo, come in una barzelletta ed essi fanno barzelletta della realtà che li circonda. All’apologia della purezza e del sacrificio ostentano lo spreco, la promiscuità, il divertimento.

I giornali collaborazionisti, cioè tutti, si scaglieranno contro questi debosciati che non vogliono andare alle adunate e dormono tutto il giorno per essere pronti, alla sera, a ballare nei locali di Pigalle o ascoltare Jazz a St Germain.

Si pensa che il loro nome derivi da una canzone di Cab Calloway che si intitola proprio Zaz-zuh-zaz. E il dito ondeggiante in alto che era un loro segno di riconoscimento deriva dal “trucking” che è poi un passo del Lindy Hop.

Prende piede il termine “essere swing”, che non voleva dire nulla se non essere cool, figo. Per farla breve Django Reinhard era swing, Charles Trenet anche, Hitler no e il Partito Popolare Francese nemmeno. Da li in avanti tutta la musica, anche se non centrava molto, bastava che avesse la parola swing e andava bene.

Tutto finisce, male, nel 1942 con retate da parte di nazisti e collaborazionisti e cospicui invii di zazous ai campi di concentramento in Germania.

  • Swing Jugend (Germania, fine anni ’30 inizio anni ’40)

Nella patria della perfezione razziale, del superuomo imbattibile non è che le cose andassero propriamente per il verso giusto, in particolare ad Amburgo, città già di per sè ambigua ed Hannover che non so nemmeno dove sia.

Gruppi di giovanissimi, appassionati di musica swing, cominciavano ad aggirarsi intorno ala metà degli anni ’30 in strani abbigliamenti le cui sfumature oggi cogliamo difficilmente. Però la ragazza al centro della foto con quel taglio di capelli devo dire che mi fa impazzire:

se però pensiamo che la realtà era questa:

allora tutto comincia a spiegarsi, un mondo fatto di marce militari, un mondo sano ed intransigente senza mezzi toni, certamente rassicurante, soprattutto per i genitori. ovviamente il fatto che questo sistema fosse funzionale al fatto di ammazzare mezza popolazione europea era un dettaglio ed, in fondo, non si notava la contraddizione tra tale perfezione formale ed il genocidio.

Si definivano Swingjugend volutamente in opposizione alle Hitlerjugend, la formazione paramilitare che inquadrava i ragazzi dai 14 ai 18 anni.

Non erano politicizzati come i componenti della Rosa Bianca, anche se la Swingjugend di Amburgo ebbe dei contatti con essi, ma volevano solo ascoltare la musica Jazz e ballare. Una caratteristica era di portare sempre con loro un ombrello, questo veniva dalla visita di Chamberlain a Monaco nel 1930, che impressionò i giovani Swingjugend che trovarono la cosa molto raffinata.

Amburgo nei primi anni ’40 era una città dove la musica swing era molto diffusa e molti erano i ritrovi informali che fungevano da Swing-club dove gli Swingjugend si ritrovavano per ballare.

Ovviamente la Gestapo li teneva d’occhio, e dal 1942 comincerà a mandare i leader (non in senso lindy del termine) di questo movimento direttamente nei campi di concentramento, al tempo molto popolari in Germania e dominions.

  • Zoot suit (Stati uniti, anni ’40)

Avevo già scritto a proposito dello Zoot in passato, qua evidenzio il fatto che questo tipo di estetica, invero non bellissima a vedersi con gli occhi di oggi, si contrapponeva, soprattutto negli anni della Seconda Guerra Mondiale, ad un mondo mainstream basato sul rigore e sul patriottismo che, però, negava rappresentanza alle minoranze.

Queste minoranze si trovavano a condividere lo stesso fardello di sacrifici che una guerra impone senza goderne dei benefici in termini di riconoscimento. Erano, soprattutto, neri, latini ma anche nativi americani (quelli che chiamiamo “pellerossa” o “indiani”) e, successivamente, nippo-americani.

L’estetica Zoot dunque contrapponeva lo spreco di materiali, la stoffa, al razionamento della medesima. Giacche dalle spalle smisurate e pantaloni larghissimi uniti a particolari sgargianti e colori accesi o fantasie vistose contro le monocrome uniformi di un immaginario Khaki o verde militare.

Per le comunità di adolescenti afro-americane era un modo di distinguersi dal mondo patriottico esclusivo dei bianchi, eroici e frugali nonchè disposti calvinisticamente al sacrificio. Denigrati dai rappresentanti della classe media di colore che, invece, ambiva al riconoscimento da parte della società bianca per modi più democratici e meno vistosi, gli Zoot suiters vennero spesso additati di antipattriottismo da parte della stampa e dei media.

Anche i latini di origine messicana furono ferventi adepti dello Zoot, in una versione che comprendeva anche le ragazze che si trovarono, così, magari involontariamente a perseguire una forma di emancipazione da un modello machista che le vedeva subordinate ai maschi.

Fortemente legato al Lindy Hop, lo Zoot ebbe suo principale rappresentante nel musicista Cab Calloway, che indossava spesso lo Zoot suit durante i suoi concerti.

Anche qua ci troviamo in presenza di gente che criticava un mondo in fondo ingiusto e penalizzante, però in modo estetico e non politico. Ebbe fortuna perchè ad un certo punto non ci fu adolescente, anche bianco, che non desiderasse possedere un completo Zoot.

Questa moda terminò con la fine della guerra e il tramonto della musica Swing (e, logicamente, con il cambio generazionale) anche se nella comunità messicana sopravvisse fino ad oggi.

  • Stilyagi (Unione Sovietica, anni ’50)

Non poteva mancare, anche se esula dallo Swing (ma non del tutto), un accenno all’Unione Sovietica. Simbolo par excellence del trionfo del pensiero unico nonchè dell’estetica unica.

Verso la metà degli anni ’50, soprattutto dopo la morte di Stalin e l’avvento di Krusciev, una voglia di America e di libertà produsse a Mosca e Leningrado un movimento teso a celebrare un’America del tutto immaginaria, colorata e musicale. La musica è in questo caso il Rock and Roll, quello di Jerry Lee Lewis e Elvis Presley per intenderci, ma anche del Jazz e, insomma, di tutto ciò su cui si riusciva a mettere le mani, attraverso il contrabbando di dischi e riviste provenienti da oltrecortina.

I giovani Styliagi (tradotto fa’ circa “gli stilosi”) si costruiscono tutto un mondo fatto di feste, auto colorate e scoperte (si, esistevano anche in URSS) e vestiti coloratissimi apertamente in reazione al realismo socialista che avrebbe voluto “una nazione di operai” in tuta grigia.

Ma molto meglio di me questo fenomeno lo spiega il regista russo Valerij Todorovskij in un film del 2008 dal titolo, per l’appunto, Styliagi dove vediamo questa bellissima illusione, questo mondo fantastico che viene distrutto un po’ dalla repressione, un po’ nel finale dove uno degli Stilyagi figlio di un pezzo grosso della Nomenklatura fa’ un viaggio in America e ritorna dicendo “è stata tutta un illusione, non ci sono Styliagi in America.

Una curiosità, molti dischi americani venivano registrati da quelli originali su lastre mediche:

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